Rose

Comune di Rose


Descrizione

Rose, una cittadina dal panorama affascinante, si affaccia  sulla valle del Crati.  Rose dista 19 km da Cosenza,  20 km dalla Sila e 30 km dalle spiagge del mar Tirreno. La popolazione di Rose è di circa 4500 abitanti.

Rose ha un ampio territorio che si estende dalla valle del fiume Crati fino a Varco San Mauro: 1300 m sopra il livello del mare. Il territorio montano sopra i 900 m, ricco di pinete, costituisce l'ambiente ideale per la produzione di funghi.

Sul resto del territorio vi sono diversi insediamenti produttivi di olio, vino, castagne e fichi (è sopratutto rinomato il vino della contrada Sovarette).

Sul territorio è ancora presente l'attività artigianale: nel campo edilizio, del  ferro battuto e del legno. L'artigiano ligneo ha sempre rappresentato il punto di forza della creatività rosetana, testimonianze di ciò restano nelle Chiese e nelle abitazioni. 

Il Nome Rose e Gaetano Argento  

Padula, ... nella Protogea cioè  l'Europa preistorica,  ... dice: "siede sopra un  promontorio ... per questo il suo nome è l'ebraico Rosh, che significa "capo" o "promontorio", ... anche se l'etimologia della parola non è precisa ... e quando il popolo dice Le Rose non guasta il nome al paese ma mette innanzi la proposizione, Les Ros vuol dire al Capo, al Promontorio. 

Gustavo Valente, ...  sostiene che Rose prese il nome da una famiglia (Di Rosis - De Rose) che possedette i territori fino al 1345 ... e che fece edificare il Castello.

Il Borrio, ... a proposito di Rose scrive: Cittadella famosa, con territorio estesissimo, abbondante di frumento, vino e frutta, ... Qua è nato il sommo Giureconsulto Gaetano Argento

Chiese e Cappelle

LA CAPPELLA scritto il 1977

 

 

 

Di proprietà Scarnato, fu fatta costruire nel 1866 da Francesco De Bonis (armiere capo, con forgia in Rose – statistica militare 1820 -) al limite destro (scendendo) della curva della mulattiera allora esistente, che incrociava con il viottolo che conduceva verso Torre Raimondi, ed a circa m. 600 dall'abitato. Quando la mulattiera fu trasformata in strada rotabile venne demolita e fatta ricostruire un pò più all’interno, da Scarnato Antonio nel 1929. Demolita nuovamente nel 1977 per far posto alla stradella interpoderale per Torre Raimondi, venne riedificata e portata sul bordo opposto della strada a circa m. 10 dalla primitiva costruzione.

Nell’interno ha un quadro con la Vergine del Carmelo ed in basso a sinistra S.Francesco di Paola con due anime del Purgatorio fra le fiamme ed a braccia levate verso la Vergine.

 

NOTA

Narra la leggenda che alla prima demolizione, gli operai non volessero dare il primo colpo di piccone, ma uno di essi, con fare spavaldo ed irriverente, promise che l'avrebbe fatto. Morì di morte violenta, prima di poter mettere in atto il suo proposito.

II restauro del quadro é stato eseguito dal pittore prof. Eugenio Cenisio da Rose.

 

ALTRE CAPPELLE IN ROSE scritto nel 1970

 

Vi sono attualmente, altre tre cappelle esistenti, ma di costruzione non molto remota.

1) La cappella del Deposito (Santicelli) dedicata alla Madonna di Loreto.

E' la più  antica.

Misura m.10x6

 

2) La cappella di Sovarette Soprane

Dedicata a S Giovanni Bosco

Misura m.15x6

 

3) La cappella di Varco San Mauro

Dedicata a San Mauro.

Misura m. 10x6.

E' stata costruita da mons. D. Attilio Percacciante da Rose, che attualmente si trova presso la “Sacra Congregazione del Cerimoniale - Città del Vaticano” Roma.

 

Clero delle terre di Rose

Parroco attuale di Rose

Don Battista Belcastro

 

Parroci che di recente sono stati a Rose

Don Gianni Montalto
Don Vincenzo De Luca
Don Luigi Cianni

Arciprete Ermenegildo Cesario
Don Armando Vena
Don Domenico Belmonte

 

PLATEA del 1820

Nomi e cognomi dei reverendi Sacerdoti (Francesco Urso, 1979)

 

Foglio ultimo

Nome Data di morte
Arciprete d. Rocco Docimo + 1839
rev.do d. Domenico Bria + 1825
rev.do d. Nunziato Docimo + 1842
rev. do d. Antonio Zingone + 1831
rev.do d. Raffaele Burchetta + 1853
rev.do d. Oronzio Berlingò + 1845
rev.do d. Giuseppe Ceci + 1826
rev.do d. Antonio Severini + a Cosenza
rev.do d. Vincenzo Bria  
rev.do d. Pasquale Papa + a Napoli
rev.do d. Luigi Buglio + a Napoli
rev.do d. Francesco Paolo Berlingò + 1832
rev.do d. Camillo Buglio + 1853
rev.do d. Raffaele Buglio + 1845
rev.do d. Pasquale Percacciante + 1837
rev.do d. Damiano Decimo + 1863
rev.do d. Francesco Burchetta + 1847
rev.do d. Lorenzo Ceci + 1863
rev.do d. Antonio Talarico  
rev.do d. Baldassarre Arcuri  
rev.do Arciprete d. Giuseppe Docimo  
rev.do d. Salvatore Ceci  
rev.do d. Pasquale Castiglione  
rev.do d. Camillo Mammone  
rev.do d. Clemente Docimo  
rev.do d. Giulio Belotta  
rev.do d. Biagio Castiglione + 1837
rev.do d. Camillo Ceci + 1855
rev.do d. Rosalbino Capalbo  
rev.do d. Antonio Sangermano + 1852
rev.do d. Alessandro Bria  
rev.do d. Baldassarre Capalbo + 1855
rev.do d. Lorenzo Talarico + 1856
rev.do d.Federico Bria + 1855
rev.do d. Giulio Bria + 1856
rev.do padre Bonaventura Mammone  
rev.do Arciprete Carmine Maria Docimo + 1932
rev.do d. Domenico Belmonte  
rev.do Arciprete d. Francesco Scarnato + 1974
rev.do d. Francesco Campise  

 

Il monastero di San Nicola

 

IL MONASTERO DI SAN NICOLA

(di F. Scarnato)

 

San Nicola, così denominato, dall'ex convento posto nella parte più bassa del paese, vicino al Serrone. Non si sa se sia San Nicola da Bari o Tolentino. Credo sia il più antico.

Esiste ancora qualche rudere. Il Monastero fu fondato e dotato, come rilevasi da una vecchia platea dei beni del clero di Rose, da un certo Gian Giglio.

Nel 1820, data della compilazione della platea, il monastero era già soppresso ed i beni passati al clero di Rose. NOTA Notizie tratte dal libro "Platea del clero della terra di Rose, anno del Signore 1820, fatta dal reverendo Baffaele Burchetta”.

(Francesco Scarnato 1952)

Ju Sugnu di Rose

Ju sugnu calavrisi e mi cci sientu;
sugnu du Cumuni di Rosi e mi nni vantu ….


“Cresciuto sul crinale di una collina (415 m s.l.m.) con le sue case arroccate, salde piantate sulla ferrea roccia, accostate l’una all’altra quasi a protezione reciproca, domina, con il suo antico castello, tutta l’ubertosa vallata del Crati, dai primi contrafforti della Sila al massiccio del Pollino.
Per i suoi abitanti, tuttavia la storia del paese, la fredda cronologia, non è tutto.
Per i rosetani sparsi nel mondo, dall’Europa alle Americhe, fin dal Pacifico e nelle remote terre dell’Oceano Indiano, Rose è una gemma!
Porta là dove la montagna addolcisce la sua ripidezza e, poi s’annulla nel piano.
Un paese tra poggi fiorenti e splendori di cielo, contornato da boschi vibranti per sonori sussurri, per freschi venti e incoronato da frange di nuvole.
E queste case sono la nostalgia pungente degli animi che anelano all’eco dei bronzi delle chiese.
Per i suoi tanti, molti figli lontani, Rose è un inganno della fantasia, un piccolo nido di felicità, dove arde la fiamma dei primi sogni; dove alla vita, la fantasia, deve la speranza di vivere il destino.”

Kore Italiota

La Kore Italiota è' una statuetta bronzea (secondo recenti ricerche) del VI secolo avanti Cristo che testimonia la presenza della civiltà greca sul territorio di Rose. Essa dovrebbe rappresentare delle tracce della mitica  Tebe Lucana.  Il suo nome potrebbe derivare dalla parola greca pûbis (forza, valore).

La Kore Italiota attualmente è custodita nel museo di Reggio Calabria. La statuetta è stata ritrovata nella località area delle fate  Altri ritrovamenti archeologici ci sono stati nelle località Poncello e Cutura.

La Pretura a Rose

LA PRETURA

di Mario De Rose

 

LA PRETURA IN ROSE Circa l’anno 1760 fu, a Rose, governatore e giudice il dott. Francesco Paolo Berlingò di Catanzaro, il quale sposò una Teresa Argento, nipote dell’illustre giureconsulto Gaetano Argento.

Con la legge 1 gennaio 1807, Rose fu compreso fra le sedi di pretura, con giurisdizione sui comuni di Luzzi, Castiglione Cosentino, San Pietro in Guarano e San Benedetto. In seguito figura compreso (1811) fra le nuove circoscrizioni delle 14 province del Regno di Napoli, come circondario di Pace, coi comuni sopra citati.

Questa sede venne ancora conservata con la legge organica dell'ordine giudiziario del 1817 quindi venne elevata alla seconda classe, con rescritto sovrano, e conservata con l'altro organico giudiziario del 1862, che andò in atto per le 16 province continentali del Mezzogiorno d'Italia.

E fu mantenuta quale capoluogo di Mandamento, con la legge del 1890 che prevedeva la soppressione di 60 preture. Soppressa nel I923,fu decretata sede staccata della pretura, con giurisdizione sui comuni di Rose e Luzzi.

Tale sede esiste a tutt'oggi (1976) ed esplica la sua attività, nel primo venerdì di ogni mese. Rose fu anche sede dell'ufficio del Registro e Bollo,fin dal I8I9,con giurisdizione sui comuni che ne costituivano il Mandamento. Esso fu soppresso nel 1926

Le origini e il Feudo

Le Origini del Feudo di Rose

(di Filippo Bilotta e Francesco Scarnato)

 

Durante la dominazione Aragonese, quando Alfonso V di Aragona e Navarra, detto il Magnanimo (1416 - 1458) conquistò Napoli e la Sicilia e prese il titolo di Re delle due Sicilie, la terra di Rose cadde sotto il peso della feudalità, venendo compresa nel feudo che, col titolo di Principato di Bisignano, Re Perdinando I di Aragona (1458 - 1494) figlio naturale di Alfonso, concedette alla famiglia Sanseverino nel 1462.

Il feudo fu costituito sulle terre dell'Università, alla quale, pur rimase una parte dell'antico ed esteso dominio universale.

Sotto il principato di Giovanni Bennardino Sanseverino il feudo fu smembrato e quella parte che si disse Marchesato di Rose, fu venduta a Marcello Spadafora da Cosenza. Bennardino Sanseverino ricomprò il Marchesato nel 1603 e quindi ebbe a rivenderlo a Bennardo di Bernaudo. Dalla famiglia Bernaudo, fu venduto nel 1610 ad Orazio Salerni e nel 1680 fu ceduto, in parte, a Filippo Cavalcante, duca di Rota.

L'anno 1723 tra i Cavalcante e la famiglia Salerni, si dibattè un giudizio dinnanzi il Sacro Reale Consiglio e il feudo fu sottoposto ad espropriazione. Fu stimato dal tavolarlo Manni ed in base alla descrizione dei beni feudali e alla stima contenuta nel rapporto del Manni, venne successivamente acquistato dal principe di Luzzi Firrao nel 1729.

II 2 agosto 1806 Giuseppe Napoleone, Re di Napoli, dando l'ultimo crollo al Medio Evo, proclamava: - La feudalità, con tutte le sue attribuzioni, resta .abolita -.

La feudalità però, di fatto continuò e, tra il comune di Rose ed il principe, si ebbe una causa nel 1810 e poi venne stipulato un contratto di divisione e permuta il 22 maggio 1821, con cui si divise il territorio di Rose e si assegnarono a ciascuno le sue parti. Ma la feudalità continuò ancora.

Siamo nel 1864, quando l'amministrazione municipale di  Rose, chiese la verifica di tutti i demani esistenti nel territorio del comune. La lite si protrasse per altro tempo ancora e con alterne vicende, finché si ebbe la sentenza conclusiva nella causa del dicembre 1899, ma la vertenza si chiuse definitivamente nel 1918.

Le notizie qui riportale sono contenute nella "-Comparsa conclusiva"- della causa fra il comune di Rose e gli eredi del principe di Bisignano.

Estensori degli atti: gli avvocati Antonio e Francesco SanteIli. Segretario comunale di Rose: Giulio Capalbo.

 

ORIGINE DEL FEUDO DI ROSE

(di Francesco Urso)
Le più autorevoli fonti parlano di questa comunità, nata all’indomani delle incursioni saracene sulla città capoluogo, a partire dalla seconda metà del X secolo e, più precisamente fra lo 875 ed il 976.
A riprova del fatto che la zona sia stata abitata nei tempi antichi, c’è stato il ritrovamento di reperti archeologici in località “Cutura”, datati V e VI secolo a.C.
Primo feudatario di Rose (1199) fu Riccardo de Rosa di Parma che ebbe il feudo da re Federico II. In un documento si trova:”… il territorio, del suo novello signore prese il nome”.
Nei registri angioni, si riscontra spesso:”… Riccardo I de Rosa, domine (signore) castro Rosa”.
Nei registri angioni del 1276, appare il nome:”… Rosa cum casali bus” tassato per grana 19704, in base alla quale tassazione si può calcolare una popolazione di 1642 anime, approssimativamente, visto che la suddetta avveniva per “fuochi” cioè per nuclei familiari.
Re Roberto (1314) conferma il possesso della terra di Rose in Calabria, al milite Riccardo de Rosa e nel 1338 concede allo stesso, che è senza figli, che gli succedano nel castello di Rosa, i suoi nipoti, Riccardello e Nicola De Orchis, figli di una sorella.
La famiglia De Orchis è stata, assieme ai Firrao, tra le più importanti della Calabria, nel periodo angioino.
Nel 1639 si verificò la vendita del feudo di Rose, da parte dell’ultimo De Orchis, alla potentissima famiglia Sangineto. Margherita Sangineto sposò Venceslao Sanseverino e per effetto di queste nozze tutti gli averi ed il prestigio di casa Sangineto, vengono acquisiti dal casato Sanseverino, costituendo il primo nucleo intorno al quale nascerà il potentissimo stato di Bisignano.
La terra di rose viene, man mano, a trovarsi, nel vastissimo mosaico del casato Sanseverino.
Il periodo positivo finì con Gerolamo Sanseverino, principe di Bisignano che contribuì a dare vita alla “Congiura dei Baroni”, repressa nel sangue.
Il re Ferdinando fece occupare lo stato di Bisignano dai capitani regi, ai quali fu affidato il compito di governare i vari possedimenti.
Rose fu affidato a Gaspare Firrao da Cosenza.
Dopo la discesa di Carlo VIII, Bennardino Sanseverino III principe di Bisignano riuscì ad ottenere i privilegi e le terre che erano appartenute al padre.
In seguito il feudo fu smembrato e, quella parte che si disse Marchesato di Rose fu venduto (1594) a Marcello Spadafora da Cosenza.
Bennardino Sanseverino ricomperò (1630) il marchesato e quindi ebbe a rivenderlo a Giovanni Bennardino, per ducati 38.000 .
Nel 1607 il feudo passò ad Orazio Guerra da Celico che ne ebbe il possesso fino al 1615, anno in cui venne acquistato da Orazio Salerno.
Nel 1647, il paese fu saccheggiato e bruciato da Fabio Alimena, capo dei ribelli, venuti da Cosenza.
Orazio Salerno passò il feudo al figlio primogenito Giacomo che diventò marchese di Rose, col privilegio di Filippo IV, del 1662.
Troviamo ancora che nel 1680 il feudo fu ceduto, in parte, a Filippo Cavalcante, duca di Rota.
L’anno 1723, tra il Cavalcante e la famiglia Salerni, si dibattè un giudizio dinanzi al sacro reale Consiglio ed il feudo fu espropriato.
Fu stimato dal tavolario Manni ed in base alla descrizione dei beni feudali ed alla stima del rapporto del Manni, venne, successivamente acquistato dal principe di Luzzi (1729).
Durante il principato dei Firrao, emerge la figura di don Pietro Magliari, amministratore di questi, che dimorò nel castello di Rose dal 1763 al 1799, dimostrandosi crudele ed opprimendo la popolazione, tanto da essere ucciso dai rosetani.
Il possesso del feudo di Rose, da parte dei marchesi Firrao, continuo fino al 1806.
Dopo il terremoto del 1638, Rose fu colpito probabilmente, dalla peste nel 1656; e poi riporto gravissimi danni nei terremoti del 1854 e 1870. Il 2 agosto 1806 Giuseppe Napoleone, re di Napoli, proclamava: “La feudalità, con tutte le sue attribuzioni, resta abolita”. La feudalità, però, di fatto continuò e tra il Comune di Rose ed il principe ed il principe, si ebbe causa nel 1810 e poi venne stipulato un contratto di divisione e permuta (1821), in cui si divide il territorio di Rose e si assegno a ciascuno le parti.
Ma la feudalità continuò ancora.
Siamo nel 1864, quando l’ amministrazione municipale di Rose, chiese la verifica di tutti i demani esistenti nel territorio del Comune, la lite si protrasse per altro tempo ancora e con alterne vicende finche si ebbe la sentenza conclusiva (1899) (avvocati: A. ed F. Santelli – segretario comunale di Rose: Giulio Capalbo), ma la vertenza si chiuse, definitivamente nel 1918.

Parroci

Parroco attuale di Rose

Don Battista Belcastro

 

Parroci che di recente sono stati a Rose

Don Gianni Montalto
Don Vincenzo De Luca
Don Luigi Cianni

Arciprete Ermenegildo Cesario
Don Armando Vena
Don Domenico Belmonte

 

PLATEA del 1820

Nomi e cognomi dei reverendi Sacerdoti (Francesco Urso, 1979)

 

Foglio ultimo

Nome Data di morte
Arciprete d. Rocco Docimo + 1839
rev.do d. Domenico Bria + 1825
rev.do d. Nunziato Docimo + 1842
rev. do d. Antonio Zingone + 1831
rev.do d. Raffaele Burchetta + 1853
rev.do d. Oronzio Berlingò + 1845
rev.do d. Giuseppe Ceci + 1826
rev.do d. Antonio Severini + a Cosenza
rev.do d. Vincenzo Bria  
rev.do d. Pasquale Papa + a Napoli
rev.do d. Luigi Buglio + a Napoli
rev.do d. Francesco Paolo Berlingò + 1832
rev.do d. Camillo Buglio + 1853
rev.do d. Raffaele Buglio + 1845
rev.do d. Pasquale Percacciante + 1837
rev.do d. Damiano Decimo + 1863
rev.do d. Francesco Burchetta + 1847
rev.do d. Lorenzo Ceci + 1863
rev.do d. Antonio Talarico  
rev.do d. Baldassarre Arcuri  
rev.do Arciprete d. Giuseppe Docimo  
rev.do d. Salvatore Ceci  
rev.do d. Pasquale Castiglione  
rev.do d. Camillo Mammone  
rev.do d. Clemente Docimo  
rev.do d. Giulio Belotta  
rev.do d. Biagio Castiglione + 1837
rev.do d. Camillo Ceci + 1855
rev.do d. Rosalbino Capalbo  
rev.do d. Antonio Sangermano + 1852
rev.do d. Alessandro Bria  
rev.do d. Baldassarre Capalbo + 1855
rev.do d. Lorenzo Talarico + 1856
rev.do d.Federico Bria + 1855
rev.do d. Giulio Bria + 1856
rev.do padre Bonaventura Mammone  
rev.do Arciprete Carmine Maria Docimo + 1932
rev.do d. Domenico Belmonte  
rev.do Arciprete d. Francesco Scarnato + 1974
rev.do d. Francesco Campise

Rose di Francesco Scarnato

ROSE

(di Francesco Scarnato - 1940)

ROSE A 19 km a sud-est di Cosenza,a cui si accede con strada rotabile,sopra una salubre collina alta m.433 sul livello del mare,sulla destra sponda del Crati, sorge Rose.

Una volta feudo del principe di Bisignano ed ora capoluogo di Mandamento. Comprendeva i comuni di Luzzi, Castiglione, San Pietro in Guarano. Dopo quel tempo, San Pietro si staccava da Rose e veniva aggregato a Cosenza.

Rose,non vanta antichità storiche.ma il primo documento inoppugnabile che ricorda la sua esistenza, risale al 1276, sotto Carlo d'Angiò (Regio Archivio di Stato di Napoli - Registri Angioini 9 f. i 127^).

E’ patria dell’insigne giureconsulto Gaetano Argento (o d'Argento), reggente e presidente del Regio Sacro Consiglio (1661 + 1730) morto in Napoli e seppellito nella chiesa di San Giovanni a Carbonara. Rose conta una popolazione di circa 4000 anime, di cui due terzi han dimora nel. contado.

II popolo è dedito all'agricoltura ed il suolo produce ulivi, castagne e fichi. La natura del terreno è collinosa, con poca zona valliva e molta alta montagna; i suoi più alti monti vanno appena oltre i 1000 metri s.l.m. La sua estensione è di ettari 7280 uguale a tombolate 24242,40 (superficie agraria e forestale).

Ai fianchi della collina su cui si adagia il paesello, si trovano due torrenti: il Javas a nord ed il Vallone delle Manche a sud, e tutti e due sfocianti nel fiume Crati, dopo essersi congiunti ai “Vallonarì”; al lato nord, tra il Javas e la collina, vi è "Guarizzo". Vi sono tre parrocchie: 1) La Matrice ex Ricettizia, ed Arcipretura, dedicata a S. Maria Assunta. 2) La 3^ porzione (Congrega), staccata dalla prima, in tempo immemorabile, con medesimo titolo, ma con l'aggiunta di 3^ porzione. Dedicata a Maria SS. Annunziata. 3) San Pietro Apostolo (ex Convento) una volta Vicaria Perpetua, ma poi innalzata a parrocchia. I territori di queste due ultime, sconfinano anche in territorio di Luzzi, dalla parte nord. La matrice, danneggiata dal terremoto del 1908. venne restaurata dall'arciprete Carmine Maria Docimo e consacrata nel 1917.

Il Protettore del luogo è S.Lorenzo Martire. Fu nel 1931 che il sottoscritto ricostruì, ab imo, la chiesetta di S.Maria delle Grazie, ottenendo la bolla di Succursale di S.Pietro Apostolo.

Sindaci

Nomi e cognomi dei sindaci di Rose dal 1859

 

Nome e Cognome Dal Al Ruolo
Bria Simone 1859 1865 Sindaco
Bria Camillo 1866 1879 Sindaco
Bria Francesco 1879 1888 Sindaco
Talarico Francesco 1888 1889 Sindaco
Ranieri Francesco 1890 1895 Sindaco
Docimo Rocco 1896 1902 Sindaco
Ranieri Francesco 1902 1907 Sindaco
Berlingò Leopoldo 1908 1914 Sindaco
Scarnato Antonio 1915 1920 Sindaco
Berlingò Leopoldo 1920 1923 Sindaco
Natoli Umberto 1923 1924 R.Comm.
Docimo Prof Ludovico 1924 1926 Sindaco
Imbarelli Aristide 1926 1928 Podestà
Capuano Michele 1928 1929 Comm.Pref.
Lucente avv. Alberto 1929 1930 Comm.Pref.
Passavanti rag. Pasquale 1930 1930 Comm.Pref.
Fiorita avv.Francesco 1930 1932 Podestà
Gravina Ettore 1932 1932 Comm.Pref.
Bilotta Filippo 1932 1936 Sind. e Podestà
Capalbo Vincenzo 1936 1939 Podestà
De Stefano Salvatore 1939 1939 Comm.Pref
Infante Ludovico 1939 1940 Comm.Pref
Mammone Umile 1940 1942 Comm.Pref
Infante Antonio 1942 1943 Comm. e Podestà
Ceci Gloacchino 1943 1944 Sindaco
Castiglione Pasquale 1944 1946 Sindaco
Scigliano Raffaele 1946 1946 Sindaco
Covello Antonio 1946 1948 Sindaco
Bilotta Serafino 1948 1952 Sindaco
Bria Antonio 1952 1956 Sindaco
Tenuta Umberto 1956 1960 Sindaco
Docimo Rocco 1960 1964 Sindaco
Molinari Eugenio 1965 1970 Sindaco
Marsico Francesco 1970 1975 Sindaco
Molinari Eugenio 1975 1980 Sindaco
Cimbalo Vincenzo 1980 1985 Sindaco
Marsico Francesco 1985 1990 Sindaco
Di Maio Gerardo 1990 1992 Sindaco
Talarico Emilio 1992 1995 Sindaco
Bria Mario 1995 1999 Sindaco
Bria Mario 1999 2004 Sindaco
Stefano Leone 2004 2009 Sindaco
Stefano Leone 2009 ... Sindaco

Statistiche Militari

STATISTICHE MILITARI

(di Mario De Rose)

Anno 1820, la terra di Rose, di cui non si ha maggior tradizione dello stato attuale, è il Comune Capo Circondario di Rose stesso, del Distretto di Cosenza della Provincia di Calabria Citra, della 5" Divisione Militare, classificato di 3^ classe, tra i comuni del Regno. E' situato su di una collina, contornata da cinque monti, distante da ognuno circa due miglia; le falde dei quali presso a poco all'aspetto della Patria, formano il territorio coltivato della medesima.

La posizione scoscesa dell'abitato offre cinque strade di accesso, che per la natura del sito potrebbero essere barricate e rendersi forte. Le strade dell'esterno non offrono il trasporto della artiglieria nello interno. A tiro di pistola su di un luogo eminente ed a levante della Patria, trovasi il Castello dell'ex Barone, abitato dai suoi agendari e corredato soltanto da una cisterna piovana nell'interno; il quale domina la parte superiore del paese e che può servire in bisogno per ritirata, giacché vi si può rigorosamente difendere. Vi è la scuola primaria il di cui mantenimento è a carico del comune. Come per questa mancano il locale e gli oggetti necessari alla pratica dello stabilimento, e l'istruzione si adopera da un prete paesano. La gioventù fa pochissimo profitto. L'aria non è molto salubre. Nell'està l'acque che ristagnano nel vallo del fiume Crati,di cui non è distante che due miglia, a causa della macerazione dei lini e dell'irrigazione del granone alle diverse coltivazioni del quale, presso che a sette mesi stanno applicati gli abitanti campagnoli, contro ai quali non si fa che apporre per la loro ostinatezza a tale industria, producono cattivo effetto alla salute pubblica. Nell'inverno, quando la Patria, esposta ai venti del nord, il clima ha del rigido ed incostante, per cui nell'una e nell'altra stagione spesso  sono le malattie. E' scarsa di acque nell'inverno e le fontane esistenti sono rese esauste e di cattiva qualità, per il che si sta importando l'acqua dalla montagna superiore allo abitato, dal quale si spera miglioramento alla condizione degli abitanti. In ordine ai pesi, il rotolo è di once 49 generalmente per le produzioni dei liquidi nel territorio.

Il vino si valuta in barile di cannate 22 ed ognuna di queste di once 48. L'olio si vende a cantaio di rotolo 100, ognuno dei quali è di once 48. Litra di rotola 2 o coppo di rotolo I; e a misura di once 18. II tomolo è diviso in 8 parti; la metà si chiama mezzetto, la quarta parte si chiama quarto e l'ottavo stuppello, che in totalità corrisponde al tomolo napolitano colmo. L’estensione dei territori si definisce a moggio, di cui ognuno di canne 30 napolitane per ogni lato del quadrato. La popolazione ascende a 2068 abitanti dei quali 100 circa dimorano nelle vicine terri di campagna ed il resto nella comune. Della somma totale della popolazione si numerano 980 uomini e 1088 donne.

Vi sono undici preti. Poche famiglie vivono coi propri fondi senza esservi alcuna professione. Si numerano tre medici, un chirurgo, quattro barbieri, un dottore con privilegio, due notai, due speziali.

Vi si contano 400 lavoratori di campagna, cento pastori, cinque muratori, due falegnami, quattro ferrari, tre fornaggiaia di calce e tre di mattoni e ceramili, cinque sarti, dieci calzolai, otto vetturali di muli e cento di asini. Per l'amministrazione comunale vi sono un sindaco, due eletti, un cancelliere, un cassiere, un esattore, un decurionato di dieci individui, un ricevitore del Registro e Bollo, un regio giudice, un cancelliere, un sostituto e due uscieri. Tre parroci ognuno dei quali col beneficio, ed anime separati. Appartiene alla diocesi di Bisignano e Sammarco. Vi ha un distaccamento di Milizie provinciali composto di 27 militi,dei quali 3 fanno parte della Compagnia Mobile del Distretto, sotto gli ordini del Capitano dei militi che vi risiede.

La milizia urbana di riserva è organizzata al numero di 116. In detta comune si trovano tre chiese, la Parrocchiale ha lunghezza di canne 2 per 7 di larghezza; la seconda ha lunghezza di canne 9 per 2 e mezza di larghezza; la terza di canne 2 di lunghezza e canne 3 e mezza di larghezza. Tranne la parrocchiale, nell'altre due chiese unite insieme, si possono alloggiare 100 uomini di passaggio e 50 di permanenza. Vi è un convento dei padri Riformati conservato in buono stato ed è addetto all'abitazione dei monaci che vi esistono al numero di 12. E’ di figura quadrangolare, distante dall'abitato un quarto di miglio, situato alla parte superiore e dirimpetto al castello baronale. Nel pianterreno di detto convento trovasi il refettorio di lunghezza canne 4 e mezza per 2 e mezza di larghezza. Quattro magazzini; cucina, cellare, dispensa e legnaia.

Il primo ha canne 2 e mezza di lunghezza e canne 2 di larghezza. II secondo canne 4 di lunghezza e 2 e mezza di larghezza. Il terzo è di canne 1 in quadro; e l'ultimo ha canne 2 e mezza di lunghezza e canne 2 di larghezza. Vi è un chiostro quadrato di canne 8 per ogni lato, che gira all'interno, e nel mezzo trovasi una gisterna, che si riempie d'inverno coll’acqua della montagna per uso di bere ed altri comodi dei monaci. Il piano superiore consiste in 4 dormitori della lunghezza ciascuno di canne 12 per 1 di larghezza. Questi danno comunicazione a due ordini di celle, sulla diritta e sulla sinistra all'infuori di uno che è addetto ad uso di loggia.

Si numerano 24 celle, ciascuna di palmi 2 per 2. Il descritto convento.oltre la famiglia, può contenere di passaggio 200 uomini,e 100 di permanenza inclusa la chiesa attaccata all'istesso convento, che ha la lunghezza di canne 9 e la larghezza di canne 5. Nella Patria vi si trovano 8 muli ad uso di soma e 100 asini e sul territorio 30 bovi da aratro.

La superficie del territorio è di moggia 8664 dei quali 2053 alla rinfusa, vengono coltivati e seminati in biade, granoni e legumi; 78 e quattro ottavi in vigneti; 89 e 6 ottavi in oliveti; 170 e 7 ottavi in ficheti e 190 e 1 ottavo in querceti. I boschi occupano una superficie di moggia 2489; il rimanente è destinato ad erbaggio. Negli anni di fertilità il prodotto dei terreni coltivati e quello delle anzidette culture è tanto quanto è bastevole al mantenimento della popolazione. Nei boschi si nutriscono dei maiali sino al numero di 200. Vi sono delle mandre di pecore e capre che giungono al numero di 3000; il formaggio che se ne ritrae è al disopra del bisogno della popolazione; gli ortaggi vernotici e la frutta estativi pure in abbondanza. Vi sono due mulini; uno sul corso del fiume Arente che macina d'inverno e d'està; altri due sul corso del vallone Javis che macinano d'inverno; ciascuno di essi può macinare l'inverno 20 tomoli di genere al giorno. Vi sono cinque forni pubblici che possono cuocere oltre il giornaliero consumo della popolazione, dieci tomoli di pane. Il foraggio verde e il fieno appena è sufficiente per gli animali del paese. La paglia è in abbondanza. L'orzo di cui si fa uso per le proprie vetture si compra o nelle montagne coltivate da forastieri o nel vallo di Bisignano e Roggiano. Vi si trovano al didentro del Paese, tre forgie in attività ed al difuori, delle fornaci di mattoni e di calce. Dai vicini boschi si ritrae qualche albero di castagna selvaggia o di cerro ad uso di traverse o di tavole, come da querceti e soveri, il legname da bruciare ed il carbone a solo uso della popolazione. Sul territorio vi sono due boschi; uno denominato Sovareto e l'altro Querceto ambedue alla distanza di un miglio e mezzo circa dall'abitato. Una parte di essi è coltivata l’altra è boscosa e da il comodo di legname a secco per bruciare e del carbone. Gli stessi sono per natura scoscesi. Il Sovareto è all'aspetto da mezzogiomo; II Querceto parte è a mezzogiorno e parte a ponente. Le strade che conducono nei medesimi, perché disastrose offrono il trasporto del legname o del carbone a sola schiena di mulo. Si crede approssimativamente la distanza da Rose a Napoli a 180 miglia; a Monteleone, residenza del Comandante Generale la Divisione Militare, a 50; a Cosenza, Capoluogo della Provincia e del Distretto a 8; da Acri 16; a Bisignano 8; a Luzzi, San Pietro e Castiglione, paesi componenti il Circondario 6 circa. In tali paesi, che si trovano al di fuori della strada consolare meno Cosenza, Monteleone e Napoli.vi si perviene per le strade ordinarie di cattivo accesso nell'inverno per la natura del terreno cretoso ed attraversato dal fiume Moccone ed Arente, rapidi ed in piena particolare nello inverno per cui spesso bisogna attendere la diminuzione e quindi passarli a schiena di passieri che all'uopo vi stanno addetti. Per recarsi poi alle Capitali è indispensabile attraversare il fiume Crati onde immettersi nella strada consolare distante due miglia circa. E per tale passaggio, particolarmente di inverno sono indispensabili le vetture e i passieri e non vi sono altri mezzi di passarvi senza disastri che la costruzione dei ponti, per li quali vi vorrebbero degli argini ove poggiarli su di ciascun fiume. Nel territorio non vi sono laghi o paludi. Lo traseca il vallone Javis e lo circoscrive il fiume Crati da ponente e il fiume Arente da mezzogiorno.

La Forgia (citata nella statistica militare)

(di Francesco Urso)

La forgia (fucina) di proprietà Scarnato, eseguiva tutti i lavori in ferro, tra cui la costruzione di armi da fuoco, sottola direzione del Capo armiere Francesco De Bonis (una delle figlie – Rosa – aveva sposato Antonio Scarnato).

Le armi venivano collaudate sparando sul grosso portone della fucina, che, sul lato sinistro ne porta ancora le tracce. Il locale è stato dato in donazione dai proprietari Arc. Francesco Scarnato e fratello Costantino, all’Azione Cattolica, da qualche anno. Nella chiesa della Congrega, sul lato sinistro, alla fine della scalinata, è posta una lapide marmorea che dice: “ – Francesco De Bonis del fu Giuseppe morto il 24/12/1873 maestro armiere e ferraio che nel suo genere era unico nella provincia di Cosenza.

All’età di anni 49 cessava di vivere. Moglie e figli posero. Rose 20-9-1874"

 Misure (di Francesco Urso)
Cantaio = kg 89
Tomolo = kg 56
Mezzetto = kg 28
Quarto = kg 14
Stuppello = kg 7
Rotolo = g 890
Oncia = g 18,16
Barile = l 39
Cannata = l 1,1/2
Coppo = l 1,1/2
Moggio = mq 63,30
Canna = m 2,11
Palmo = cm 26

 

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